Saremo fino a domenica 19 allo spazio Biosfera di Padova!
Ci trovate in Via San Martino e Solferino 5/7
Ore 10-19 orario continuato.
A presto!
]]>5-6 novembre: PADOVA, Spazio Biosfera, ore 10-19, in Via San Martino e Solferino 5/7 (circa 150 metri dal Pedrocchi!)
7 Novembre: LIMBRAGA DI LANCENIGO (TREVISO), VILLA PERSICO, ore 10-19, (ingresso da Via G. Ghirlanda, 2)
12 e 13 novembre: Spazio Biosfera, Padova
20-21 NOVEMBRE: Mercatino del paradiso, RELAIS DEL PARADISO, Peschiera del Garda (VR)
A presto!
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Ori Prosecco Driver è una garanzia: ne ha parlato niente meno che il Washington Post con un articolo di Paul Abercrombie e da allora per gli americani, quando venivano (e quando torneranno…) a visitare Venezia, è diventato un must concedersi una gita sulle colline con la più simpatica, preparata ed esplosiva dei conducenti-cicerone.
Abbiamo parlato al femminile, perché Ori Prosecco Driver è lei: Oriana Balliana, una specie di mito e migliore ambasciatrice delle Colline del Prosecco D.O.C.G. Conegliano-Valdobbiadene, che da due anni sono diventate anche Patrimonio dell’Unesco.
“Io sono innamorata della mia terra e di questa meraviglia della natura che sono le nostre colline – racconta- e mi è venuto quasi naturale trasformare questa passione in un lavoro, perché per me portare le persone - e si tratta soprattutto di stranieri - a conoscere queste zone è una soddisfazione enorme. In più, mi piace da matti guidare!”
La sua innata capacità di stare amabilmente con la gente nasce da anni di esperienza nell’Osteria che i suoi genitori avevano in centro a Col San Martino, spettacolare borghetto incorniciato dalle colline del Prosecco Superiore. Era, l’Osteria dei Colli, un luogo di ritrovo per intere comitive provenienti da Conegliano, Treviso, Venezia, Padova, ma anche Milano, Roma e via via sempre più frequentate da stranieri, e poi dagli amici degli amici, che rimanevano affascinati dalla cordialità dei gestori e dal calore di quella vecchia osteria, con il “larin” (il caminetto, con la panca a muro tutta intorno, chicca da prenotazione), arredata con gusto, le tavole imbandite con i fiori e soprattutto una cucina eccezionale e un vino che allieta il palato e scioglie pensieri e tensioni: il Prosecco Superiore D.O.C.G., frizzante, fruttato, sincero. Pura allegria, in serenità. Lì potevi incontrare personaggi come il poeta Andrea Zanzotto, o il designer Tobia Scarpa, o Sergio Saviane. Era una specie di circolo che riuniva intellettuali, artisti, scrittori e insieme imprenditori della “locomotiva d’Italia”, giornalisti, politici e sportivi, accomunati dal piacere di stare insieme in un’atmosfera famigliare.
“Certamente gli anni in Osteria sono stati preziosi: viene da lì la mia conoscenza approfondita dei prodotti enogastronomici di quest’area così ricca di tradizione, perché da noi i piatti seguono la stagionalità. Per esempio ora a primavera si fa il “Risotto coi “sc-iopét” (carletti, ndr), o con le ortiche, e la frittata con i “bruscandoli”, poi arrivano le zuppe o il pasticcio con gli asparagi, e l’altra squisitezza Dop del nostro Veneto: le fragole. Qui ci sono ancora antiche latterie che fanno formaggi eccezionali (anche il formaio imbriago, cioè il formaggio ubriaco, rivestito di foglie di vite). E poi lo spiedo, piatto principe di tutta quest’area! E i salumi, come la famosa “soppressa” che tutti vogliono assaggiare o l’ossocollo. Per non parlare del “Tiramisù”, che è nato qui a Treviso e credo sia il dolce più apprezzato al mondo.”
Tutte cose che i clienti (“poi diventano amici”), soprattutto gli stranieri, adorano. Ma facciamo un passo indietro: quando Oriana si mette in testa che un driver non deve essere per forza un uomo, prende la licenza e diventa la prima originalissima “Prosecco Driver”. E ha la fortuna di incontrare sulla sua strada la travel-blogger Jo, o meglio IndianaJo (https://indianajo.com), un’inglese geniale che ha creato un sito e un blog dedicato alle donne che viaggiano da sole, diventato in poco tempo un fenomeno della rete, con oltre 1.200.000 followers. Jo arriva nel 2015 nelle terre del Prosecco e inizia a scriverne recensioni entusiaste, corredate da foto spettacolari e, collaborando con lei, Oriana diventa il driver di riferimento per inglesi, americani, australiani, giapponesi: con l’escalation internazionale del Prosecco DOCG, tutti desiderano vedere dove nasce il vino che rende frizzante il mondo.
Sono i luoghi che Oriana conosce collina per collina, stradina per stradina, vigneto per vigneto, e sa farne gustare ogni aspetto: “Li porto su per le colline più ripide, tra le stradine che si perdono sui pendii di viti, là dove l’agricoltura è eroica, e non si può che lavorare a mano, e poi dal verde si sbuca sul cocuzzolo e intorno di aprono panorami che solo noi abbiamo. Restano incantati!”
Se leggete le recensioni che su Trip Advisor riguardano Ori Prosecco Driver (5 su 5 il punteggio, l’eccellenza totale), potete notare frasi come questa : “This lady is the bomb!”, insomma ci siamo capiti: i clienti di Oriana, passando una giornata con lei, si divertono un mondo e apprezzano vino, cucina, paesaggi e compagnia! Sentite cosa scrive un’altra cliente: “We visited Rome, Florence and Venice and this was by far our favorite day of the entire trip.” – Cioè, il giro con Oriana è stato meglio di Firenze, Roma e Venezia!
“Beh, un po’ ci rido su – dice Oriana – ma mi fa certamente piacere che le persone abbiano questo impatto di assoluto stupore nell’incontrare le Colline del Prosecco. Scelgo per loro cantine piccole, con una produzione molto curata. L’ospitalità dei nostri vignaioli è di per sé una marcia in più: che sia Merotto, con le sue degustazioni insuperabili, o Marchiori, o la splendida Riva Granda e naturalmente Bastia, vignaioli da quattro generazioni sulla collina del Cartizze, mi fanno tutti fare un “figurone”. Per chi ama anche la Birra, organizzo il tour passando da Giovanni Gregoletto, che ha abbinato da qualche anno alla storica produzione di Prosecco DOCG, anche una birra artigianale ottima, e ha organizzato il Museo della Birra”.
Oriana sa sempre come intrattenere e soddisfare anche i clienti più esotici e sofisticati: “Arrivano anche dalle Isole Fiji e dalle Hawaii, che sono posti unici al mondo. Eppure qui sembrano perdersi nella bellezza e quando partono mi scrivono letterine piene di gratitudine e nostalgia.”
Il segreto è anche lei, allegra con la grazia dell’intelligenza e la passione a guidarla.
Ma anche questa primavera, mentre sbocciano i fiori di ciliegio e le prime foglioline verdi fanno capolino dai rami, e si aprono distese di violette e poi prati festosi di margheritine e fiori giallo sole di tarassaco e azzurri “occhietti della Madonna”, purtroppo sarà come lo scorso anno: senza turisti a godere di tanta bellezza della natura. “Speriamo di salvare l’estate, nel 2020 un po’ ci riuscimmo”.
Parafrasando il poeta-cantautore, Oriana guarda i fiori e i fiori guardano nel sole, in questa terra bella e resiliente, con il vento leggero che attraversa vigneti silenti. Una terra sospesa e paziente. Si fa attendere, ma sappiamo che tornerà, quella normalità densa di vita. E porterà con sé l’allegria sincera di stranieri incantati, che l’attraversano a bordo della Station Wagon di Ori Prosecco Driver.
Antonella Antonello
Come trovare Ori Prosecco Driver:
Sito: http://www.orianancc.it
Instagram: https://www.instagram.com/oriproseccodriver/
Facebook: https://www.facebook.com/proseccotour
Oppure: https://www.facebook.com/VisitProseccoItaly
Credits foto: Oriana Chantal Balliana, Nally Bellati, V. Lapiche, Antonella Antonello, Maso di Villa - Relais di campagna, Merotto Vini
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Tra i teleri che scendono dall’alto in un’esplosione di colori, nella grande mansarda-studio di Olimpia Biasi, ti senti come Alice nel Paese delle Meraviglie. E’ un viaggio quasi mistico in un’altra dimensione, con tanta bellezza a circondarti. Può succedere che ti rapisca lo sguardo azzurrissimo di un ritratto piccolo ma intenso, figurativo, ma quasi onirico per la forza dei colori, le ombre sul violetto, grigio e arancio insieme, toni così diversi dal vero eppure che il vero sanno restituire.
“E’ mio padre – spiega Olimpia, che ha lo stesso sguardo azzurro-turchese del signore ritratto, mentre mostra la serie di dipinti: ci sono intellettuali come Giorgio Soavi, Comisso, Naldini , amici e complici – io disegno da sempre, pittori si nasce: ed è una forza incoercibile, che ti viene da dentro, una necessità innata.”
Nata a Fontanelle, piccolo paese vicino ad Oderzo, in provincia di Treviso, Olimpia si trasferì a Venezia per studiare al Liceo Artistico, ospite di parenti: “Sono stata fortunata: ho passato l’infanzia nella natura, cogliendone sapori, profumi e colori, e poi ho avuto a disposizione Venezia, che per chi ama l’arte è il massimo. Al Liceo Artistico mi sono formata con grandi artisti presenti a Venezia, c’erano Bacci e Gaspari, icone dello spazialismo, muoveva i primi passi della sua carriera un giovane Vedova e ricordo l’ingresso in classe di Peggy Guggenheim, per vedere un’opera di Bacci, straordinaria nella sua originale eleganza, con al seguito i suoi cagnolini. Grande donna, che a Venezia ha dato e lasciato moltissimo. Mi porto nel cuore anche Giovanni Barbisan, che mi insegnò a disegnare. La Venezia di quel tempo era una città incredibile, un grande circolo di intellettuali ed artisti, che potevi incontrare ovunque: avere contatti con loro mi ha insegnato molto, ha contribuito alla mia apertura sia dal punto di vista artistico che culturale e spirituale. Venezia è storicamente un crogiuolo di culture diverse che in lei trovano magica sintesi, intrecci inaspettati che aprono nuove strade da esplorare. E’ sempre stata cosmopolita, aperta al mondo. Il Veneto degli ultimi anni purtroppo ha fatto della Serenissima una bandiera al contrario, con una connotazione di “chiusura” che non corrisponde alla storia.”
Di questo, e molto altro, si parla nella magnifica casa secentesca, che Olimpia ha restaurato, facendone da una ventina d’anni il suo luogo di ispirazione, vita e lavoro. Imponente e insieme gentile, in rosa antico, la casa-atelier è a Lovadina, a poche centinaia di metri dalle rive del Piave, e ha un giardino creato dalla stessa artista: asimmetrico, con un ordine solo apparentemente casuale, un’opera d’arte che a maggio vede il trionfo di molte fioriture, ma soprattutto delle rose, anche quelle himalayane, che si arrampicano per dieci metri su un albero secolare e delle altre che formano più in là un tunnel profumato. Qui erano soliti riunirsi intellettuali come Zanzotto, Soavi, Zambon, e soprattutto lo scrittore Nico Naldini, cugino di Pierpaolo Pasolini e grande amico di Olimpia. “Siamo stati come fratelli”- racconta sorridendo.
Fu proprio in uno di questi incontri che si tenevano settimanalmente, che il Prof. Zambon, uno dei maggiori esperti di Filologia Romanza, portò in dono un libro
“Dal momento che i libri di Zambon erano belli ma sempre molto impegnativi, l’ho messo da parte per un po’, prima di affrontarlo, ma quando l’ho aperto è stata una scoperta incredibile, che ha dato vita da un nuovo filone della mia carriera artistica: era la vita di Hildegard Von Bingen! Per me, fu una passione immediata, leggevo ogni riga con una voracità incredibile, come se avessi trovato esattamente quel che cercavo.”
Ildegarda era una monaca tedesca, vissuta nel monastero di Bingen nel Medioevo: una mistica considerata nei secoli la maggiore esperta di medicina naturale. Fu la prima a riscoprire e trascrivere gli antichi rimedi della medicina greco-romana e l’utilizzo di tutte le erbe e piante medicamentose. Una scienziata ante-litteram, resa santa da Papa Ratzinger nel 2012, che ha dato modo ad Olimpia di sviluppare una nuova pagina della sua arte. Ma ci arriveremo. Prima raccontiamo la storia di questa artista, invitata ben due volte ad esporre alla Biennale di Venezia e protagonista di eventi ed esposizioni in tutto il mondo, dall’America Latina al Giappone.
“Non faccio molta differenza tra figurativo e astratto: per me anche il figurativo è metafisico. Ho sviluppato negli anni la mia ricerca, il mio è un astratto espressionista, materico, particolare perché tutto parte da un dato reale, da un suggerimento che mi viene dall’osservazione della natura: una foglia, un fiore, un alito di vento, e poi esplode sulla tela. Ecco, per me l’artista fa proprio questo: rende concreto, palpabile un messaggio. Ma è sempre il pensiero che guida la mano, ed è la cultura che guida l’arte.”
Olimpia – che deve il suo nome al nonno, innamorato della Grecia – è convinta che sia la cultura tout-court la base ideale per essere un grande artista.
“Io non amo un artista in particolare, o un periodo della storia dell’arte: io amo ciascuno di loro, in ogni epoca. Studio, ammiro, vado a vedere anche artisti meno noti, dal Medioevo al Rinascimento, dal Barocco alle avanguardie, (mi piace pure l’arte naif) e cerco di coglierne l’anima e il retro-pensiero. Facendolo, mi sono accorta di una cosa: non esiste grande artista che non abbia avuto una grande cultura, che non sia stato curioso, indagatore, a suo modo unico e rivoluzionario. Negli anni ’80 esponevo alla Galleria del Libraio, e lì conobbi Naldini: fu un incontro d’anime che mi mise poi in contatto con letterati, poeti e pensatori, consentendomi di ampliare le vedute, di migliorare il mio sentire e la mia arte.”
Forse anche di divertirsi, perché Olimpia pare proprio divertirsi a raccontare il suo essere artista: come quando ti mostra come ha “tradotto” su tela il cielo stellato di Stromboli, sua amata isola, con un quei riflessi violetti che aleggiano intorno alla Via Lattea e migliaia di stelline puntiformi, o l’improvviso squarcio di luce dell’altra bellissima opera, in cui i lapilli del vulcano illuminano la notte. O ancora quell’altro, con quel cielo di pallido azzurro, direttamente tratto dai paesaggi dei pittori veneziani. Dentro i quadri c’è Tiziano, e c’è Giorgione, e c’è Pontormo il delizioso Lotto e i coloristi veneziani, ma anche il tratto gentile di Raffaello e il disegno preciso di Leonardo, c’è Van Gogh e insieme i grandi maestri del Novecento, c’è l’antico e il moderno, anche nella forma (“I teleri sono un’idea che ho “rubato” a Tintoretto”). E soprattutto c’è l’evoluzione: “Io non amo le opere in serie. Purtroppo, oggi l’arte contemporanea spesso è schiava di meccanismi che inducono la ripetizione di quel che “funziona” e quindi si vende. Ma non fa per me: io seguo l’onda della mia ispirazione. E partecipo, anche fisicamente, e con grande emozione, alle mie opere, non mi pongo limiti nell’espressività artistica: da questo punto di vista, mi ispiro a Gerhard Richter.”
E torniamo al magico incontro con il manuale di Medicina naturale di Ildegarda, fonte primaria di ispirazione di una delle installazioni più belle e originali di Olimpia Biasi: stiamo parlando di “Viriditas”, mostra allestita nel 2018, all’Orto Botanico di Padova (il primo Orto Botanico universitario del mondo, istituito nel 1545 e ora Patrimonio dell’Unesco) e curata da Virginia Baradei. Le creazioni di Olimpia, ispirate direttamente dalla natura e con essa in stretta relazione, tra visioni cosmiche e indagine del particolare, hanno tessuto un dialogo con questo luogo unico sia attraverso le opere collocate in spazi espositivi interni (garze, erbari, disegni, teleri), sia con le installazioni all’esterno, tra alberi, piante e acque.
"Queste ultime sono state meravigliosamente “completate” dall’azione degli eventi naturali. La natura ci ha lavorato su con pioggia, sole e vento. E’ stato magnifico. Come splendido è stato poter avere ospite Stefano Mancuso, botanico e docente all’Università di Firenze, ma soprattutto uno dei maggiori esperti di neurobiologia vegetale, che ci ha spiegato come le piante reagiscano all’ambiente esterno, vi si sappiano adattare, ed entrino in comunicazione con ciò che le circonda. Ecco, la “Viriditas” che intendevo io è proprio questa: l’inesauribile vitalità della natura, che prende milioni di forme diverse. Sono convinta che ogni pianta abbia un suo carattere, una propria personalità e come dice Mancuso una propria “intelligenza” interna.”
E’ un campo di indagine molto interessante, che porta l’artista a creare queste leggere e meravigliose garze, evocatrici del paziente lavoro femminile di tessitura, che diventano “erbari”, in cui la parte basica della garza accoglie la pittura, il collage ed elementi vegetali (semi, foglie, fibre vegetali). Il risultato è emozionante: sulle garze, leggere e “volanti” di Olimpia, si muove la moltitudine delle forme di vita della natura (un vivace mondo di colori, piccoli insetti, farfalle, fiori, intrecci d’erbe, semi e foglie, nastri) e l’artista esplica la sua ricerca sul mistero della natura stessa. Qui lo fa in modo minuzioso, come la sua musa Ildegarda, ma la ricerca è la stessa che la porta alle grandi visioni coloristiche dei teleri.
“Natura è ciò che conosciamo ma non possiamo esprimere. La nostra saggezza è impotente di fronte alla sua semplicità”. (Emily Dickinson)
Abbiamo scelto questa frase di Emily Dickinson, la poetessa preferita da Olimpia, perché proprio da lei prende il via il lavoro che il lockdown le ha ispirato : “La solitudine aiuta l’artista, l’Arte è un soliloquio”. Si tratta di un’altra evoluzione della sua ricerca: crea “libri” di quattro facciate, in garza, ciascuno dedicato ad una poetessa, ad un poeta, ad un artista, in cui brani di poesia trovano spazio a fianco delle erbe, dei ricami, dei disegni, in un collage di bellezza mozzafiato, mai uguale, ciascuno ad illuminare una parte del mistero.
“Li immagino appesi ad un filo, in modo che restino aperti a metà, perché si possa godere della loro tridimensionalità, e guardarli da tutti i punti di vista.”
Mentre salutiamo questa bella signora bionda, lasciando il suo atelier, già immaginiamo la meraviglia che la prossima installazione di Olimpia Biasi porterà ad ognuno di noi, facendoci tornare bambini incantati davanti allo spettacolo della natura e magari, chissà, un po’ più consapevoli del suo eterno messaggio.
Antonella Antonello
Per seguire Olimpia Biasi:
https://www.instagram.com/olimpiabiasi/
http://www.olimpiabiasi.com
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Appena varcato il grande cancello a lato della villa, il mondo cambia: simpatici musetti appaiono curiosi a salutarti e tutto intorno c’è un grande parco dagli alberi secolari. Ti viene incontro la “responsabile accoglienza”, Martina, una capretta graziosa e molto ‘stilosa’: se fa freddo, indossa un bel cappottino di maglia jacquard bianco e rosso. L’accompagna il suo più caro amico, il cane Apollo, un golden dolcissimo che ti scorta fino alla porta di… casa, mentre almeno tre dei cinque gatti vengono a curiosare e un coniglietto saltella a poca distanza, con la sua coda a pom-pon.
Villa Italia, la “Dimora di Campagna”, stile settecento veneziano, non potrebbe infatti avere appellativo più appropriato: “casa”. E’ così che appare a tutti quelli che ci arrivano o vi soggiornano, da quando Sabrina Barlò ha avuto l’idea di creare nella villa di famiglia un B&B di charme: 9.9 il punteggio che la “Dimora di Campagna” ha conquistato su Booking, e mantiene da anni, e sono 5 su 5 le Stars su Tripadvisor, a conferma della piena soddisfazione degli ospiti che si dedicano un soggiorno in una delle suite ricavate ai due piani della Villa.
Il corpo centrale della “Dimora di Campagna” è del 1670, probabilmente fatta costruire da nobili veneziani nei possedimenti in entroterra per godere della salubre aria di campagna. Qui siamo a Casale sul Sile, a poca distanza dal meraviglioso sito archeologico romano di Quarto d’Altino, in provincia di Treviso, e a due passi da Venezia.
“Nell’800 – racconta Sabrina – la villa fu regalata alla mia bisnonna, Italia Fornasieri, da cui prende il nome. Italia sposò Eugenio Costantini ed ebbe 5 figli, tra cui Antonio, avvocato, che divenne uno dei padri costituenti della nascente Repubblica Italiana. Era il fratello di mia nonna Dina.”
E qui inizia la storia tutta al femminile di questa casa.
“Nonna Dina adorava questo posto e quindi suo marito, mio nonno, decise di liquidare tutti gli altri quattro fratelli e ottenere la piena proprietà della casa per regalarla alla moglie. La coppia ebbe quattro figlie, mia mamma Clara, che qui è cresciuta, e altre tre sorelle.
Mia mamma è stata innamorata da sempre di questa casa e ha lavorato moltissimo per comprarsi a sua volta tutte le quote e poter continuare a vivere qui. Ho ereditato questo suo sentimento e non avrei rinunciato a questa casa per nulla al mondo. Questa è la casa della mia infanzia, respira con me e io sono convinta che abbia un’anima, perché accoglie le persone con una sua particolare magia.”
La “magia” è confermata da tutti quelli che ci entrano e la vivono, anche per poche ore, perché è come immergersi nell’Eden, o in un giardino incantato dell’infanzia. Con tutti gli animali intorno: ci sono anche altri due gatti, Charleston e Principessa, quattro anatre e una cinquantina di galline che scorrazzano libere. Due di loro – Violetta e Petunia - una volta al giorno “bussano” alla porta della cucina, entrano nel tinello e depongono un uovo a testa nel “loro” cestino. Poi tornano fuori, nel parco, a giocare con i loro “morosi” galli. Vanno tutti d’accordo, gli animali della Dimora di Campagna, amici liberi e felici. Il coniglietto, arrivato tramite un’amica che lo aveva trovato abbandonato, ha un nome che dice tutto, si chiama “Cunicio da tecia” (per i non veneti: “Coniglio da pentola”), ad intendere che mai nessuno degli animali della Dimora di Campagna finirà in pentola: sono tutti animali da compagnia, che Sabrina ama come bambini e con cui ha un rapporto bellissimo.“Un giorno sono arrivati degli ospiti: mio marito era sul divano a vedere una regata velica in tv, e accarezzava una gallina , come fosse un gatto. Potrà sembrare strano ai più, ma le galline amano salire in braccio e sanno essere perfetti animali da compagnia!”.
Sabrina ha trasformato la casa dopo la fine del suo primo matrimonio: “Nel 2014, mi sono subito resa conto che non avrei potuto mantenerla se non creandone un reddito: questa villa è bella perché la manutenzione e i restauri sono continui. Richiede attenzione e dedizione. Così ho rispolverato una serie di competenze, che avevo maturato lavorando, prima di diventare una mamma a tempo pieno: sono tornata Art buyer e arredatrice di interni, e ho sfruttato l’esperienza nel customer care internazionale. Così ho creato il mio B&B di Charme. La Dimora di Campagna credo sia bella perché è trattata con amore, e questo suo essere “vissuta” e accogliente è la ragione per cui piace tanto. E’ stato un successo immediato!”
Arredata con gran gusto, la villa vi accoglie al piano terra con una lunga tavolata, e la portafinestra che dà sul giardino davanti. La tavola, spesso ornata da fiori, è un invito alla conversazione: qui si fa colazione (con le torte fatte in casa) o si beve il thè del pomeriggio. Alle pareti, eleganti cornici tonde racchiudono tele con vasi di fiori, e c’è quell’atmosfera romantica creata dalle abat-jour e a lato le scale in legno che salgono verso la prima suite, che comprende salottino e biblioteca e come l’altra ha una splendida stufa in maiolica, a garantire una temperatura perfetta. Il tutto è arredato con eleganza, retrò quanto basta, pezzi unici e magnifici tappeti, ma soprattutto la Dimora di Campagna è concepita per far sentire gli ospiti in pieno comfort. E’ una casa che invita alla pace, pare di entrare in un’altra epoca ma con tutte le comodità, wi-fi gratuito compreso.
“La mia passione è capire le esigenze dei miei ospiti e soddisfarle – racconta Sabrina – cerco di fare in modo che tutto sia perfetto. Per esempio, voglio sempre i fiori freschi nei vasi. Abbiamo pure un servizio di “Private Dinner”, anche vegano, su richiesta. Cerco di coccolarli, insomma, e poi lascio fare alla casa, che ha questa atmosfera onirica, quindi a molti pare di entrare in una fiaba.”
E’ davvero un posto molto romantico, quindi giusto anche per un matrimonio?
“A dire il vero, questa casa ha una particolarità: è come se vi si potesse svolgere solo ciò che lei vuole. Non potrei organizzare eventi con molte persone, sarebbe sbagliato. E non parlo di ora che le distanze sono necessarie, ma nemmeno prima, nonostante il parco sia ampio ben 5000 metri. A chi mi chiedeva di fare il suo matrimonio qui, rispondevo di no, perché più di 25 persone non si potevano accogliere. Poi è arrivato il Covid e una coppia ha deciso di sposarsi quest’estate con pochissimi intimi, pur di essere qui. E’ stato molto bello, semplice e non invasivo, come “lei” (Villa Italia, ndr) richiede. L’anno scorso ho creato dei piccoli eventi, scegliendo artigiani e mini realtà particolari, e sono stati un successo, mentre nelle sere d’estate sono state organizzate nel parco sessioni di meditazione e yoga, con pochi ospiti, e punti luce pendenti dai rami degli alberi, tante piccole candele in sfere di vetro. Grande atmosfera, era davvero bellissimo!“
Villa Italia sa anche raccontare storie: ne ha molte, che si sono tramandate in famiglia e Sabrina ha avuto l’idea di intervistare in “pillole” sua mamma Clara. Così, ogni sabato sul suo seguitissimo profilo Instagram pubblica una “chicca”
sulla storia della “Dimora di Campagna”.
“E’ una villa partigiana: nascose e salvò persone, e poi riuscì a far morire alcuni tedeschi che volevano saccheggiarla, annegandoli nel vino! E ha mille altri aneddoti: ad un certo punto è diventata anche un ospedale da campo. Ha visto fasti e periodi bui, maturando un fascino senza tempo.”
Alta, snella, con un tratto di innata eleganza, Sabrina somiglia molto alla sua “Dimora di campagna”, così quando la salutate mentre vi accompagna con il fedele e immancabile Apollo, sapete già che tornerete. Perché il cancello che si chiude alle vostre spalle racchiude un mondo dove è bello stare.
Antonella Antonello
Foto by Massimo Marcolin
Per trovare la Dimora di Campagna
Profilo Instagram: https://www.instagram.com/dimoradicampagna/?hl=it
Sito: http://dimoradicampagna.it
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Quando dall’aereo vede le luci di Istanbul, megalopoli sinuosa che sul mare unisce Europa e Asia e le avvicina in un magico abbraccio, Carla si sente a casa. Cittadina del mondo lo è da sempre, per storia e vocazione. E’ nata a Lima, in Perù: lì si erano incontrati i suoi genitori, dopo aver attraversato l’oceano. Piero Vallotto, il padre, era di San Martino di Lupari (in provincia di Padova) e commerciava in materiali per le miniere, mamma Eveline Krumnau era una tedesca di origine russa, i cui genitori, l’uno di Riga e l’altra di San Pietroburgo, entrambi in fuga dalla Russia, si erano incontrati in Polonia e poi si erano trasferiti a Berlino.
Il nonno di Carla morì molto presto, e la nonna, Olga, che aveva due fratelli spariti nel nulla, fu contattata dalla Croce Rossa: “Signora, i suoi fratelli sono in Perù e vorrebbero rivederla”. E così mamma Eveline arriva a Lima, dove lavora come stilista e lì incontra Piero. Dopo il matrimonio, arrivano Carla e il fratellino. Siamo agli inizi degli anni ’60, l’Italia si è rialzata dopo la crisi del dopoguerra e vive allegra la vigilia del boom economico: i due giovani sposi decidono che è il posto ideale per far crescere i figli. Carla ha 3 anni quando la famiglia si mette in viaggio e all’aeroporto di Miami, ancora in parte in costruzione, si fa notare. “Giocavo con altri bambini incontrati all’hub – racconta – e ho tirato giù tutte le luci, lasciando al buio gran parte delle sale.”
Un tipino vivace, insomma. Bionda, carina, ma “giamburrasca”. Come lo è ancora oggi. Crescendo a Verona, Carla inizia ad interessarsi all’arte e all’architettura. Si laurea a Milano, lavora in studi importanti, come quello di Gino Valle e collabora anche con Vittorio Gregotti. Poi si trasferisce a Berlino, affascinata dal fermento della città tedesca, che sta totalmente cambiando il suo aspetto e il suo skyline grazie ad una nuova concezione urbanistica.
“Anni stupendi e molto interessanti, in cui ho anche potuto andare alla scoperta della casa da dove mia nonna e mia mamma partirono. A Berlino ho maturato una mentalità diversa, cosmopolita. Lì già allora c’era attenzionealla natura, alla sostenibilità. Era urgente il tema del riciclo, e poi lavoravo con amici architetti, di differenti paesi, ed è stato un grande arricchimento, professionale e personale.” Corsi e ricorsi nella vita: oggi a Berlino sta lavorando suo figlio Alessandro, dopo esperienze a Londra e in Australia.
“Sono la donna con la valigia in mano” – dice Carla di sé. Infatti, dopo il matrimonio a Verona e la nascita del figlio, lavora come architetto ma la sua passione restano i viaggi, la scoperta di ciò che è diverso ed inusitato. Ciò che guadagna, lo spende alla scoperta del mondo. Così, un giorno va a trovare una sua cliente poi diventata amica, Giovanna, che da anni si è trasferita ad Istanbul.
Lì sul Bosforo, tra colori, profumi e sapori dal sentore orientale, in quella che nei secoli fu chiamata “seconda Roma”, Carla ha una folgorazione: vede i velluti di seta dagli incredibili disegni e colori che un gruppo di curdi porta in città.
“Mi sono innamorata a prima vista – racconta – e ho iniziato a studiare: sono tessuti uzbeki dall’antichissima tradizione, totalmente prodotti in modo artigianale all’interno delle case, nei due stili principali : Ikat e Suzani.”
L’idea le viene immediata: questa meraviglia deve essere portata in Italia! Si mette subito al lavoro, contattando i mercanti curdi, provenienti dall’Uzbekistan, e inizia a cucire i suoi primi cuscini, di varie forme e fogge, accorgendosi che i loro colori e fantasie permettono molte combinazioni, con un effetto estetico di grande impatto.
“Credo che la sensibilità alla bellezza mi arrivi dai tanti anni di studio, ma anche dal fatto di avere avuto una mamma artista, che ha sempre dipinto. La tecnica Ikat viene dall’Asia, ma la stessa tipologia di tintura delle fibre era anche tipica di antichi popoli del Perù precolombiano. Sarà un richiamo del mondo?” – sorride Carla .
L’Ikat è una tintura dei tessuti che viene detta “semplice” se praticata sui fili dell’ordito uniti in particolari “mazzetti”, per ottenere un certo disegno, oppure “doppia” se il trattamento è riservato ai fili della trama. Il tutto viene realizzato a mano, e si distingue facilmente dai tessuti stampati: è una tipologia di tintura molto ricercata da collezionisti ed etnologi, soprattutto perché praticata sulla seta, che è delicata e richiede una tecnica sopraffina.
“Anche lo stile Suzani è affascinante, per i colori e i motivi – prosegue l’architetto Vallotto - viene dall’Asia Centrale ed indica sia una tipologia di ricamo che un tessuto tribale. Lo stile è moresco, molti dei motivi sono ricorrenti nell’arte islamica e ne esistono di vari tipi, a seconda della provenienza.”
Quando una decina di anni fa viene lanciato il brand “I cuscini di Carla” (https://www.facebook.com/icuscinidicarla) il successo è immediato: arrivano decine di richieste e di ordini da tutta Italia. Carla accetta l’invito di showroom di Roma, Milano e di eventi esclusivi come quelli che si svolgono al Castello di Strassoldo o a Lucca, o ancora a Palazzo Isolani di Bologna. La sua idea si rivela vincente e i tessuti, oltre che dei cuscini, prendono la forma di magnifiche pochette e borse, mentre dalla collaborazione con altri artigiani nascono le abat-jours e le “furlane” in velluto di seta, accoppiate ma non identiche, seguendo la variazione del disegno: magnifiche.
Il colpo d’occhio di un’esposizione di Carla lascia a bocca aperta: tanti colori e fantasie, rossi, azzurri, verde in ogni sfumatura, turchese, rosa fucsia, giallo limone, nero-blu, acquamarina, arancio, grigio-azzurro, viola, in un’armonia mai uguale. Ogni pezzo è unico, ha molti simili ma nessuno identico. L’insieme mette allegria e l’unico problema che si può avere è riuscire a scegliere!
“Oggi i miei prodotti sono venduti in alcuni negozi di arredamento a Milano, Forlì, Bergamo, Roma, Bologna, Modena, e molti ordini li evado io stessa – dice Carla – perché mi piace il rapporto diretto con le clienti, far loro da consulente, anche se per me la cosa più bella resta prendere l’aereo e andare a vedere cosa c’è di nuovo, respirare Istanbul e scoprire la gentilezza e i rituali antichi di un popolo, quello curdo, ricco di tradizioni, sapere, bellezza. E poi io, da buona forchetta, adoro assaggiare i piatti della cucina mediorientale, speziata e sapiente.”
Tutto questo pregusta, atterrando, la nostra donna con la valigia in mano: anche le gite in barca sul Bosforo, in pieno sole o al tramonto o sotto le stelle quando l’aria si fa tiepida, e tutta Istanbul ha mille occhi luminosi e le cupole perfette delle Moschee, da cui si innalza all’unisono il canto dei muezzin. E quando ci entri vedi cieli stellati, che quasi pare che Giotto sia stato qui. Che vita a colori!
Antonella Antonello
NB. Per trovare Carla Vallotto e i suoi prodotti, andate sulla sua pagina Instagram:
https://www.instagram.com/icuscinidicarla/?hl=it
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Teresa è bella, come sanno essere belle le donne inglesi quando hanno gli occhi verdi e un sorriso che conquista. Teresa parla un perfetto italiano con accento dello Yorkshire e la nettezza della lingua fiorentina. A parte maschile/femminile e singolare/plurale che spesso non collimano, aumentando la simpatia del soggetto, il suo italiano ha tutta la grazia e la nobiltà di un pomeriggio ad Ascot.
Lei si racconta e ti regala tutti i colori magnifici delle sue creazioni: quadri che diventano magie di seta da indossare. Teresa Bunting è un’artista cresciuta in una famiglia di artisti. Porta con sé i paesaggi dalle infinite sfumature di verde, tra acque, giardini e fiori, del piccolo borgo in cui è nata, Oswaldkirk, dopo che la sua famiglia si era trasferita da Londra, perché il padre John Bunting, scultore e mastre of drawing, fu chiamato ad insegnare Arte al prestigioso College Ampleforth. Teresa è cresciuta in una casa circondata dal verde, detta Rose Cottage, sua prima fonte di ispirazione.
“Mio padre era un artista vecchio stampo: scolpiva il marmo, che faceva arrivare dall’Italia e i suoi soggetti erano più che altro religiosi, come i vostri grandi scultori rinascimentali, come il suo artista preferito, Giovanni Pisano – racconta Teresa - e poi non disdegnava la scultura in legno e si era cimentato anche con il bronzo. La mia casa era una specie di museo: credo di aver imparato lì il disegno, e il gusto delle proporzioni. Anche mia madre era un’artista: il break alla sua carriera siamo stati noi 5 figli, ma una volta che ognuno ha preso la sua strada, è tornata a creare, dedicandosi alle sculture in ceramica!”
Teresa si laurea a Brighton in Fashion Textiles, e inizia subito a lavorare come disegnatrice di tessuti per alcune grandi aziende a Londra e poi in Francia, perché ha individuato da subito la sua passione. Ma stare lì ai confini con la Svizzera non la rende felice, fino a che la cercano per uno stage a Firenze. E’ il 1984 e l’Italia la strega: trova il sole, la bellezza e l’allegria che cercava, e il lavoro va a gonfie vele.
“L’Italia era nel mio destino: da allora, praticamente, non l’ho più lasciata. – racconta Teresa - In quel periodo per il tessuto stampato era il boom. Le offerte di lavoro fioccavano, così dopo aver incontrato Gigi (un fantastico toscano che è diventato suo marito, ndr) ho ricevuto un’irresistibile offerta a Thiene, e ci siamo trasferiti in Veneto, dove è nata la nostra seconda figlia, che oggi lavora in Diesel. Firenze e Venezia sono le mie città del cuore, fonti inesauribili di ispirazione e di bellezza, per me come per molti artisti.”
Oltre ad essere un’abile disegnatrice, Teresa è una tecnica della stampa su tessuto: “Ho seguito varie aziende da questo punto di vista, una volta la stampa era molto complicata, non esisteva il digitale, c’erano i famosi “cilindri” e il tutto era molto laborioso e richiedeva grande sapienza e capacità.”
Nascono da lì la sua conoscenza e la vasta esperienza, che l’hanno portata a collaborare anche con una multinazionale con sede a Bursa, in Turchia, a 200 km da Istanbul, vicino al Mar di Marmara.
“Ero la consulente scelta per aiutarli ad entrare nel mercato europeo, riadattando i loro disegni al gusto e ai colori di moda in Europa. Lavoravo a Bursa una settimana al mese: il viaggio era allucinante, ma per il resto è stata un’esperienza indimenticabile.”
Dopo che lo scenario è cambiato per il mercato di tutto il mondo, Teresa ha deciso di mettersi in proprio e ha utilizzato arte e sapere maturato sul campo per dare vita alla linea che porta il suo nome: Teresa Bunting Scarves (https://www.teresabuntingscarves.com).
“Parto dai miei quadri e dai miei disegni, e li trasferisco su tessuti di seta oppure seta e cotone. Adoro la leggerezza della seta, che poi è l’unica che garantisce una presa perfetta del colore fronte/retro. Ho iniziato con i foulard e subito dopo con i cosiddetti kimono, ma in realtà la mia ispirazione nasce dal caftano marocchino, perché sono affascinata da quanto questi modelli sappiano sempre dare un tocco di eleganza, sia per una serata che se li si usa in casa.”
Se visitate lo Show-room di Teresa, a due passi dalla meravigliosa Villa Pisani di Strà (Mira, Venezia), vi potrete perdere nella meraviglia dei suoi kimono in seta dai magnifici disegni (fiori, rose e tulipani, ma anche particolari ispirazioni che arrivano dalla laguna veneziana, da panorami, monumenti, da stampe antiche o murales. Li trovate qui: https://www.teresabuntingscarves.com/kimono), o ancora potreste perdervi tra i colori e le fantasie dei suoi foulard, ora romantici ora geometrici, su più tonalità differenti. (https://www.teresabuntingscarves.com/scarves).
Immaginiamo sia un gran lavoro, adattare i disegni ai modelli, e poi portare tutto in stampa. Quindi pochi capi e molto ricercati, i tuoi….
“E’ vero: lavorare come lavoro io ora è un… lusso, direi! Dietro ad ogni capo c’è un grande lavoro, una storia, un’ispirazione, l’uso della tela, dei disegni, dei pennelli, la scelta dei colori, l’adattamento digitale per i vari modelli, la scelta del tessuto, i cartamodelli, la stampa e il confezionamento. E il tutto per pochi pezzi, perché la mia collezione segue la mia ispirazione artistica, quindi è sempre in evoluzione!”
Potremo definire la tua moda “Slow-fashion”?
“Perfetto, è il contrario della moda facile, veloce e di poco valore che ha dominato il mercato negli ultimi anni. Io credo si debba e si possa tornare alla qualità, che è fare le cose bene, con cura artigianale e scegliendo la strada più difficile ma più duratura della qualità.”
Ultimamente hai anche creato capispalla, camicie e pantaloni: è il via al prêt-à-porter di Teresa Bunting?
“Lo è, ma anche in questo caso seguo una strada diversa: in realtà questi capi sono complementari ai miei foulard. Infatti li realizzo solo trovando tessuti che magnificamente sposino ed interpretino i colori dei miei disegni, e non viceversa!”
Anche i modelli sono particolari!
“Cerco sempre una mia via, che racconti una donna originale, vestita chic ma con nonchalance, che sappia osare con i colori senza ostentarli, ma divertendosi a portarli. E di una cosa vado fiera: le mie “interpreti” vanno dai venti ai novant’anni e più e sono tutte magnifiche. Quando una donna sceglie un mio capo e lo indossa contenta, allora la mia ispirazione trova il suo compimento!”.
P.S. Il nostro preferito è il cappottino rosa con cappuccio, ma voi potete scegliere: https://www.teresabuntingscarves.com/coordinated!
Antonella Antonello
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Ha studiato con lo chef crudista Vito Cortese e con altri specialisti di fama internazionale ha affinato le sue conoscenze e la sua tecnica tra Londra, la Spagna e il Kuwait, con una puntata da Master a Host 2015, evento tra i più importanti nel mondo della ristorazione. Adesso la sua sfida si chiama Doha, Qatar, dove è stata scelta a proseguire un progetto avviato da chef Cortese e concepito da un gruppo di investitori con a capo il giovane Ghanim Al-Sulaiti: una pasticceria vegan e crudista e un ristorante di alto livello nel cuore di Doha, con le stesse caratteristiche.
“Il 2020 è stato un anno non facile, per via del Covid – racconta Lorena – ero in Qatar da febbraio, ma è arrivata la pandemia. Nonostante i rinvii delle aperture, non ho potuto tornare in Italia fino a giugno. Anche a Doha tutto era bloccato, e con il lockdown abbiamo dovuto cambiare completamente i nostri piani e reinventarci con il delivery: un’esperienza molto interessante, anche se difficile.”
Il team è multinazionale: a Doha infatti si incrociano capacità e competenze provenienti dall’Asia, dall’Europa, dall’Africa, dal Medioriente. “Il nostro team è irresistibile – continua Lorena – perché ci sono davvero tutte le particolarità dei popoli del mondo, e questo per me è un grande arricchimento.”
In un’atmosfera colorata sono nate, e nascono tutti i giorni, una serie di prodigiose invenzioni culinarie, fatte di saperi e contaminazioni: la pasticceria e gelateria vegana si chiama "Mylk - An alternative destination" (https://www.analternativedestination.com) e la squadra di Lorena è l’artefice di una serie di specialità che hanno conquistato consensi anche durante il lockdown.
“La vera specialità è il gelato vegano crudista, creato da Vito Cortese. E’ un prodotto straordinario, senza latte né derivati, senza conservanti, senza ingredienti di origine animale e senza zucchero raffinato. – racconta – Poi produciamo cioccolato crudo sotto forma di cioccolatini, tartufi e tavolette. Anche in questo caso, tutto è creato con ingredienti al 100% naturali e vegetali, non cotti e quindi intatti nelle caratteristiche organolettiche. Inoltre, usiamo lo zucchero di cocco che ha un tasso glicemico molto basso e tutto ciò che facciamo è totalmente privo di glutine. Tra breve avremo una novità: una linea di croissant vegani.”
Ma la pasticceria, come detto, non è l’unico dei progetti che Lorena è stata chiamata a gestire, visto che il geniale Ghanim Al -Sulaiti, (https://www.instagram.com/ghanim92/) non ancora trentenne, è un vulcano di idee e iniziative, ed è diventato in poco tempo il personaggio più influente della scena “vegan” del Qatar e di tutto il Medioriente. Ambasciatore di tutto ciò che è naturale ed eco-sostenibile, ha aperto il primo ristorante vegano del Qatar (Evergreen Organics), una piccola catena di “Grab & Go” con punti collocati in stazioni della metro e spazi co-working (Green And Go), un’azienda di imballi eco per alimenti (Papercut), una linea cosmetica vegana (Botany) e alcune Spa (Botany Lab).
Ora la nuova creatura che sta per nascere è il Thalatheeen, e Ghanim ha voluto con sé Lorena.
“Apriamo a febbraio – dice la chef italiana – e sarà una sfida bellissima. Il nuovo ristorante si trova all'interno del National Museum of Qatar (https://www.qm.org.qa/en/project/national-museum-qatar). Proponiamo cucina vegana cotta, con forte connotazione ayurvedica. Thalatheen significa "30" in arabo. 30 come la vision del Qatar che si propone, entro il 2030, di diventare una società all'avanguardia capace di assicurare alti standard di vita ai suoi cittadini, secondo un progetto nato nel 2008. Thalatheen vuole portare al 30% la quota di persone che seguono uno stile alimentare vegetale. 30 è un numero significativo anche perché il 70% della popolazione in Qatar è sotto i 30 anni. Thalatheen si ripropone anche di usare, per il 30% del proprio menù, prodotti locali.”
E in questa magnifica “legge del 30”, cosa porterai di italiano in questo progetto?
“Di italiano porto la meticolosità, la capacità di "sentire" gli ingredienti e di liberarne la bellezza. Le linee del menù del ristorante sono create da un'altra chef che però non è presente a Doha. A me e alla squadra il compito di ricreare e perfezionare le ricette. Di mio per ora sto portando la panificazione e la pasticceria da colazione, con e senza glutine. Queste cose non erano nel mio bagaglio, ma sto diventando una brava auto-didatta qui. Questo è il vero regalo che mi sta facendo Doha: il mettermi alla prova in cose nuove. Qui, davvero, ogni giorno è una piccola sfida.”
Perché all'estero la cucina Vegan e crudista è già così conosciuta e invece in Italia no?
E' molto semplice. Poche cucine, come quella italiana, hanno una forte tradizione da salvaguardare. Ciò che esce troppo dai canoni della tradizione è guardato con sospetto. Io per esempio ci sono arrivata in modo molto naturale, sfruttando un passato di disordini alimentari per conoscere meglio me stessa e il cibo. Questa ricerca mi ha condotto al crudismo e sono stata immediatamente colpita dai colori, dalla forza e dall'autenticità dei sapori di questo tipo di cucina. Contemporaneamente mangiare cibo vegetale crudo mi ha aiutato a ritrovare la spensieratezza che era stata offuscata da una pesante e lunga depressione. “
Ma quando hai scelto di diventare una chef crudista?
Non ho scelto di diventare chef crudista, definizione che ancora non sento mia del tutto. . Semplicemente amo gli ingredienti vegetali e naturali e mi piace farli interagire tra loro. Volevo lavorare nell'ambito dell'alimentazione naturale ed entrare in cucina è stato il passo più diretto. Ero a Londra, circa 10 anni fa, ed era il momento giusto: c'era gran curiosità verso la cucina crudista e ancora pochi che sapessero proporla.
Qual è la cosa che ti piace di più e quella che ti piace meno del tuo lavoro.
Quello che mi piace di più è senza dubbio l'innovazione. Mi piace anche sfruttare la forza "curativa" del cibo naturale. Quello che mi piace di meno sono gli orari e il fatto che sia poco ecologica: in cucina purtroppo si è obbligati ad usare molta plastica e molti monouso. Ma anche in questo senso in Qatar stiamo lavorando per migliorare.
Come ti trovi a Doha?
Doha è una città molto bella. C'è assolutamente tutto e, per chi non lavora nell'hospitality, anche la possibilità di godersi bene la vita. Il Golfo è anche un hub strategico, un ponte per visitare molti Paesi asiatici. Per me, invece, le ore di lavoro sono tante, anzi, tantissime, quindi ho solo qualche momento per lo svago. La pandemia non aiuta, sono qui senza il mio compagno. Però ho la fortuna di condividere le giornate con delle brigate in gamba e molto simpatiche.
Ma se il Qatar è un deserto, come fate a trovare il materiale per cucina crudista?
Ci sono diverse aziende agricole qui che usano sistemi di coltivazione molto moderni e sfruttano bene le poche risorse. Tuttavia la maggior parte della frutta e della verdura sono importati. Ma del resto così succede anche in Italia, no?
Vorresti un giorno aprire in Italia un ristorante crudista? Se sì: Venezia, Milano o Roma? O quale altro posto?
Credo di no, sai? Per prima cosa perché mi legherebbe troppo a lungo ad un singolo posto ed io sono ancora un o spirito nomade. In secondo luogo perché sono più efficace quando mi affeziono ai progetti degli altri più che ai miei. Ma se qualcuno volesse aprire a Venezia, io sono disponibile!
Per adesso, appena si potrà, per assaggiare la cucina di Lorena dovete per forza andare a Doha, dove tanti italiani già vivono (e molti altri vorrebbero vivere), ma intanto almeno con la Tv tutti ci andremo, visto che sarà proprio il Qatar ad ospitare i Mondiali di calcio del 2022. E lo farà nei suoi stadi ipergalattici, bellissimi da vedere e poco impattanti sull’ambiente, per quello che si annuncia come il primo Mondiale eco-sostenibile della storia. 8 nuovi stadi a zero emissioni di carbone, con materiali ecocompatibili e riciclabili e che saranno dotati di sistemi di generazione di energia rinnovabile. Chapeau!
Antonella Antonello
Se volete sapere di più, potete consultare il sito di Lorena Loriato:
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